I risultati elettorali delle elezioni amministrative del 6 Maggio in
Italia hanno un raccordo col senso generale del voto europeo, ma con
molte particolarità nazionali.
Sarà necessaria una analisi più approfondita del voto e dei flussi. Ma è già possibile un giudizio politico d'insieme:
il voto registra anche in Italia la crisi di consenso delle
politiche di austerità e sacrifici imposte dalle classi dominanti sullo
sfondo della crisi; ma la crisi di consenso delle politiche sociali si
intreccia con la crisi specifica degli assetti del bipolarismo italiano e
dei partiti borghesi. Penalizzandoli in misura diseguale.
LA PENALIZZAZIONE DEI PARTITI BORGHESI
Il tracollo si concentra in particolare sul PDL, fino a ieri il
principale partito borghese in Italia. Prima la crisi del governo
Berlusconi e la sua caduta, che hanno privato quel partito della sua
guida politica monocratica e del principale fattore di riconoscibilità
pubblica; poi il sostegno del PDL a Monti in contraddizione con gli
interessi della parte piccolo borghese popolare del proprio blocco
sociale; infine la disarticolazione locale in numerose liste civiche-
riflesso di un principio di possibile scomposizione- hanno determinato
una disfatta elettorale diffusa, con poche eccezioni, sull'intero
territorio nazionale. Il PDL è il primo sconfitto del voto.
La Lega Nord evita il tracollo, e tiene l'immagine nazionale grazie
al voto di Verona, che peraltro riflette nelle sue misure indubbie
particolarità locali. Ma il coinvolgimento nei noti scandali e la guerra
intestina hanno avuto un riflesso elettorale pesante. Non solo la Lega
non riesce a capitalizzare a proprio vantaggio l'opposizione al governo
Monti e il tracollo del PDL, ma arretra pesantemente nelle sue
roccaforti lombarde, e sparisce nelle zone di più recente insediamento (
centro Italia).
Il cosiddetto Terzo Polo subisce una sconfitta elettorale
significativa, appena attutita dall'accesso al ballottaggio a Genova.
Non ha pesato solamente la disarticolazione interna del blocco terzo
polista, spesso presentatosi frantumato al proprio interno. Ha pesato
soprattutto la sua identificazione incondizionata nel governo Monti nel
momento stesso della massima crisi di consenso del governo, e più in
generale delle politiche d'austerità in Italia e in Europa.
Il PD è l'unico partito borghese che regge l'impatto del voto,
nonostante il proprio sostegno determinante al governo. Il PD ha
beneficiato per effetto di rimbalzo della crisi verticale del PDL, della
superiorità relativa del proprio insediamento territoriale, della
disponibilità di un quadro di coalizione che il centrodestra ha
smarrito. Ma al tempo stesso il coinvolgimento nel sostegno a Monti non è
stato privo di conseguenze. Il PD ha “tenuto” ma ha subito una erosione
diffusa di consensi in molteplici direzioni. Mentre resta del tutto
irrisolto il nodo della sua prospettiva nazionale circa i rapporti con
gli alleati ( IDV, SEL, FDS) e col Terzo polo.
L'AFFERMAZIONE DEL GRILLISMO
La reazione di rigetto delle politiche dominanti e dei partiti
dominanti non ha trovato il proprio canale principale di espressione
nella sinistra di opposizione ( come è avvenuto in Grecia, o su altre
basi in Francia) ma nell'astensione crescente e soprattutto nel
populismo equivoco di Beppe Grillo. Mentre le sinistre ( SEL e FDS)
tengono in sostanza le proprie posizioni, il Movimento 5 Stelle realizza
un vero e proprio sfondamento, e rappresenta senza dubbio il
“vincitore” della prova elettorale del 6 Maggio. Il Grillismo ha
polarizzato un elettorato di diversa provenienza politica ( PD, IDV,
SEL, PDL, LEGA ) grazie ad un profilo d'immagine semplificato e senza
marchio “ideologico” ( Grillo “contro il Palazzo e i Politici ladri”);
all'abile diversificazione dei messaggi sociali ( con i precari e i
disoccupati, ma anche con gli evasori di Cortina e contro i migranti);
all'ostilità pubblica ricevuta da parte di tutti i partiti borghesi di
governo, che gli hanno di fatto tirato la volata; alla potente
amplificazione mediatica di cui Grillo ha goduto, e che è stata senza
paragone col passato. L'alta astensione ha contribuito a sua volta a
rafforzare le sue percentuali.
Il successo di Grillo resta concentrato soprattutto nelle città, più
che nei piccoli centri, e nel Nord più che al Sud. Ma con una tendenza
indubbia all'espansione nazionale del fenomeno. Che di fatto riflette e
contribuisce alla crisi della rappresentanza politica borghese.
LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA E GLI EFFETTI DEL VOTO SUL GOVERNO
I risultati elettorali fotografano nel loro insieme la crisi della
rappresentanza politica in Italia: da un lato la crisi del vecchio
bipolarismo della seconda Repubblica, con la destabilizzazione verticale
del partito berlusconiano , la crisi della Lega, le contraddizioni
irrisolte del blocco di centrosinistra; dall'altro l'assenza ad oggi di
un centro di gravità e di ricomposizione degli assetti politici. Lo
stesso progetto di Casini di riorganizzare su un nuovo asse una
rappresentanza centrale della borghesia italiana esce indebolito dal
voto. Mentre la frammentazione complica le cose rispetto alla
ridefinizione della legge elettorale.
Questa realtà è destinata a produrre nell'immediato effetti politici contraddittori sullo stesso governo Monti.
Per un verso la crisi dei partiti politici dominanti, ed in
particolare del PDL, congela in qualche modo il governo “tecnico”. Per
altro verso quella stessa crisi complicherà la sua navigazione, proprio
nel momento della massima crisi di consenso sociale delle sue politiche.
Pare improbabile la precipitazione di una crisi di governo (
elezioni ad Ottobre). Il PD resta scudiero di Monti, per conto della
grande borghesia e di Napolitano. L'UDC e il Terzo Polo sono votati alla
continuità del governo, non avendo altre carte di ricambio e altra base
d'appoggio per il loro disegno di ricomposizione centrista. Il punto di
massima sofferenza è il PDL, dove si confrontano apertamente opzioni
diverse: ma una rottura col governo non porterebbe benefici elettorali
immediati, e la maggioranza del suo personale politico dirigente non
vuole la rottura.
Al tempo stesso, a meno di un anno dalle elezioni politiche,la crisi
di consenso delle politiche del governo e la propria crisi politica
spingerà i partiti dominanti ad una maggiore pressione negoziale
sull'esecutivo. E Monti avrà più difficoltà che in passato ad
equilibrarsi tra i blocchi sociali che PDL e PD gli hanno portato in
dote ( piccola e media borghesia, lavoro dipendente pubblico e privato).
Anche perchè la recessione economica già in pieno corso in Italia ( e
in altri 11 Paesi europei) rende più difficile la gestione della stretta
di bilancio imposta dal fiscal compact, riducendo ulteriormente il
margine di manovra del governo nel rapporto coi blocchi elettorali dei
partiti che lo sostengono.
Tutto lascia pensare che il governo proseguirà, ma su uno sfondo sempre più terremotato dalla crisi politica nazionale.
IL MOVIMENTO OPERAIO ALLA PROVA
Tanto più in questo quadro si misura la crisi di direzione del movimento operaio e dei movimenti di massa.
Nel momento della massima disarticolazione degli equilibri della
“seconda Repubblica”, la subalterneità della CGIL al PD, e di riflesso
al governo Monti, è di fatto il principale scudo conservativo del quadro
politico dominante.
Per questo la parola d'ordine della rottura col PD di tutte le
sinistre politiche, sindacali, associative, di movimento, in funzione di
una vertenza di lotta unificante attorno ad una piattaforma di
mobilitazione indipendente, resta più che mai l'asse generale della
nostra proposta politica immediata e del nostro intervento di massa.
Come in Europa, anche i risultati elettorali italiani del 6 Maggio,
seppur in modo distorto, spiegano che solo un'irruzione sulla scena
politica del movimento operaio e della sua forza di massa può
canalizzare la rabbia sociale attorno ad una prospettiva di vera svolta.
E viceversa, dentro l'attuale atomizzazione delle lotte, senza lo
sviluppo concentrato e radicale dell'azione di classe e di massa, la
rabbia di ampi strati popolari finisce col disperdersi nella
rassegnazione muta o nel populismo.
Più in generale la crisi politica del campo borghese, la crisi di
consenso del governo Monti, rendono ancor più attuale una lotta generale
del movimento operaio per una propria soluzione della crisi sull'unico
terreno possibile: quello anticapitalistico e rivoluzionario. Il voto
italiano ed europeo conferma indirettamente una volta di più un dato di
fondo: o il movimento operaio dà la propria risposta radicale alla
radicalità della crisi capitalista, ponendosi sul terreno della lotta
per il potere dei lavoratori, o la disperazione sociale che si va
cumulando cercherà altri canali e altri sbocchi. Contro i lavoratori.